Chi sono gli untori di oggi?

di Maria Neve (V ginnasio, sez. G)

Nel corso della storia si sono verificate tante gravi epidemie, che hanno seminato dolore e morte fra gli uomini. Le epidemie da sempre hanno fatto irruzione diffondendo un senso di paura e di impotenza. I nomi delle diverse malattie che periodicamente hanno afflitto il genere umano, provocando milioni di vittime – mi riferisco, ad esempio, alla peste, al vaiolo, al colera, al tifo – appaiano nelle varie cronache accompagnati da un sentimento misto di terrore e superstizione.
Tali sensazioni dettate dal forte disagio e disorientamento, create da un nemico invisibile e difficile sia da individuare che da combattere, non sono cambiate nel corso della storia, pur in presenza di contesti sociali, economici e culturali differenti.
Per secoli gli uomini sono stati più o meno impotenti davanti al loro diffondersi e, in certi casi, questi flagelli hanno influito sugli stessi equilibri geo-politici degli Stati colpiti.
Un elemento comune presente nella storia sociologica delle epidemie è la presenza della figura dell’”untore”, l’altro, non esattamente definito né descritto ma sussurrato nei secoli con paura e visto come fonte di tutti i mali.
Questa idea di un nemico evanescente legato nei secoli scorsi in Europa occidentale alla stessa figura del diavolo o della morte nelle fattezze di uomo, è presente oggi come lo era nel corso del XVII secolo durante la peste di Milano.
L’untore si camuffa tra la gente e lavora sottotraccia. Apparentemente è una persona normale, alquanto dimessa, nel frattempo lavora, distrugge e contamina…
“Renzo, afflitto e indispettito, afferra il martello, «per picchiar di nuovo alla disperata» e guarda in pari tempo se viene persona a cui chiedere informazioni più precise; e vede una donna «con un viso ch’esprimeva terrore» e con gli occhi stralunati la quale, poiché non è riuscita a chiamare gente di nascosto, comincia a gridare come una forsennata: «l’untore, dagli! dagli! dagli all’untore!». Anche quella donna sgarbata, riaffacciatasi alla finestra, grida che costui (Renzo) è «uno di quei birboni che vanno in giro a unger le porte de’ galantuomini»”.
Lo stigma è prepotente e non ci vuol nulla, come dimostra il Manzoni, per essere additato come il nemico della società, che era all’epoca, si ricordi bene, solo quella dei “galantuomini”, timorosi di Dio e rispettosi della legge. Il povero Renzo veste invece, suo malgrado, il ruolo dell’untore.
Quando nel mondo ha fatto la sua inaspettata comparsa una nuova terribile, spietata malattia, la peste del XX secolo, come è stata definita l’AIDS, la storia della malattia ha seguito la stessa sceneggiatura, creando i nuovi untori, drogati e gay; eppure gli attori agivano nel tempo del progresso e della globalizzazione delle informazioni.
La paura dell’altro diverso da noi segna purtroppo la storia dell’umanità in diverse epoche storiche e quasi come una necessità si ha bisogno di un nemico da additare e su cui scaricare le proprie insicurezze e la propria rabbia, che sia esso come nel caso dell’AIDS il drogato, oppure l’immigrato africano portatore di malattie e non rispettoso delle regole costituite.
Il pericolo più grande secondo me è rappresentato, oggi come all’epoca del buon Renzo, dalla disinformazione, che ha già causato molti danni, talvolta peggiori delle stesse malattie, e che, se non combattute anche sul fronte dell’informazione, potrebbero continuare a causarne.
Oggi ad esempio nel continente Africano siamo al collasso totale e non si riesce ad arginare i nuovi virus se non intervengono gli scienziati di tutte le popolazioni, e noi stessi siamo in pericolo se non s’interviene con decisione su questi popoli per combattere il male assoluto rappresentato dalla diseguaglianza sociale e dalla conseguente povertà di mezzi e informazione, intesa soprattutto come istruzione a favore di tutti i ceti sociali “galantuomini e non galantuomini”.